Workshop e progetto espositivo Academy Awards "L’intimità dell’immagine come luogo in comune"

29 maggio - 9 giugno 2012
In collaborazione con Accademia di Belle Arti di Brera e con l'artista e docente Gianni Caravaggio

“Da qualche tempo nella riflessione sul mio lavoro, e poi in dialogo con i miei studenti a Brera, si presenta la necessità di sollevare la questione dell’immagine. Una questione che nella considerazione postmoderna è stata stilizzata come oggetto bidimensionale destinato al consumo populistico. Secondo l’avvento di una nuova sensibilità, e quindi di una nuova coscienza, occorre rimettere l’immagine in una luce in cui essa potrà apparire come causa germogliante. Quale potrebbe essere una ridefinizione dell’immagine, dopo la sua riduzione a semplice veicolo di contenuti, a oggetto di analisi semiotica o a illustrazione dello spettacolare? Pare proprio che la natura dell’immagine escluda ogni definizione circostanziale. Avvicinarsi alla natura dell’immagine è un atto di essenzialità (Vedi Gianni Caravaggio, "Immagine seme, in Arte Essenziale", Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2010).

Nella riflessione in Aula tale atto di essenzialità si è manifestato nell’osservare insieme i lavori, non con la pretesa di una significazione forzata, né d’altro canto come strategia d’impatto visivo per impressionare il pubblico. Piuttosto l’osservazione ha costituito un atto in cui ogni particolarità fisica e cromatica diventava protagonista sensibile della nostra immaginazione. Facendo così, stavamo esplorando la natura dell’immagine. Natura dell’immagine che nella nostra riflessione abbiamo definito come immagine-immaginazione, e che esige un dialogo intimo con l’osservatore. L’“intimità” in questione non è da equivocare con “privato”, perché qui per “intimo” si intende un’esperienza particolare in cui le immagini che affiorano in realtà sono quelle che profondamente ci costituiscono. In questo senso, tali immagini affiorano dall’abisso della psiche umana, che si immerge nella concretezza della materia. Tale esperienza costituisce una “intersoggetività” di visione, o in altre parole, emerge in me qualcosa che è naturalmente condiviso anche da un’altra persona. Ogni persona intimamente percepisce, sente e immagina qualcosa di misteriosamente condivisibile. Ci è stato fin subito chiaro che questa dimensione di condivisione nuota in una dimensione intuitiva ed è molto poco affine alla ragione informativa in cui oggi di solito è rilegata la definizione di “pubblico”. Ma tale dimensione intuitiva, una volta percepita, ci si presentava come un’esperienza irriducibile e basilare. Il dialogo intimo della fruizione in cui si genera l'immagine-immaginazione sembra d’altronde poter costituire una possibilità di narrazione, non una narrazione epica e precostituita ma evocata e aperta. In questa definizione di “intimo” un’energia sembra voler risollevare la vecchia questione dell’universalismo. Con la differenza che, al giorno d’oggi, un possibile “nuovo universalismo” sarebbe radicato nella particolarità della sensibilità e si presenterebbe solo come epilogo dell’esperienza. Tutte queste nostre osservazioni e riflessioni sollevano e sono state dall'inizio sollevate da una questione essenziale: il mistero che costituisce l’opera d’arte”.

Gianni Caravaggio, aprile 2012

Artisti: Simona Andrioletti, Monia Ben Hamouda, Agostino Bergamaschi, Michele Callearo, Ryan Contratista, Antonio Crotti, Graziano Folata, Sharon Gervasi, Giuliano Giancotti, Virginia Guiotto, Teo Herceg, Erika Kimberly Lizzori, Chiara Luraghi, Emanuele Marullo, Alessandro Mazzatorta, Rebecca Moccia, Giacomo Monza, Alice Parolari, Marco Secondin, Francesco Serenthà.

Workshop e progetto espositivo Academy Awards "L’intimità dell’immagine come luogo in comune"

29 maggio - 9 giugno 2012
In collaborazione con Accademia di Belle Arti di Brera e con l'artista e docente Gianni Caravaggio

“Da qualche tempo nella riflessione sul mio lavoro, e poi in dialogo con i miei studenti a Brera, si presenta la necessità di sollevare la questione dell’immagine. Una questione che nella considerazione postmoderna è stata stilizzata come oggetto bidimensionale destinato al consumo populistico. Secondo l’avvento di una nuova sensibilità, e quindi di una nuova coscienza, occorre rimettere l’immagine in una luce in cui essa potrà apparire come causa germogliante. Quale potrebbe essere una ridefinizione dell’immagine, dopo la sua riduzione a semplice veicolo di contenuti, a oggetto di analisi semiotica o a illustrazione dello spettacolare? Pare proprio che la natura dell’immagine escluda ogni definizione circostanziale. Avvicinarsi alla natura dell’immagine è un atto di essenzialità (Vedi Gianni Caravaggio, "Immagine seme, in Arte Essenziale", Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2010).

Nella riflessione in Aula tale atto di essenzialità si è manifestato nell’osservare insieme i lavori, non con la pretesa di una significazione forzata, né d’altro canto come strategia d’impatto visivo per impressionare il pubblico. Piuttosto l’osservazione ha costituito un atto in cui ogni particolarità fisica e cromatica diventava protagonista sensibile della nostra immaginazione. Facendo così, stavamo esplorando la natura dell’immagine. Natura dell’immagine che nella nostra riflessione abbiamo definito come immagine-immaginazione, e che esige un dialogo intimo con l’osservatore. L’“intimità” in questione non è da equivocare con “privato”, perché qui per “intimo” si intende un’esperienza particolare in cui le immagini che affiorano in realtà sono quelle che profondamente ci costituiscono. In questo senso, tali immagini affiorano dall’abisso della psiche umana, che si immerge nella concretezza della materia. Tale esperienza costituisce una “intersoggetività” di visione, o in altre parole, emerge in me qualcosa che è naturalmente condiviso anche da un’altra persona. Ogni persona intimamente percepisce, sente e immagina qualcosa di misteriosamente condivisibile. Ci è stato fin subito chiaro che questa dimensione di condivisione nuota in una dimensione intuitiva ed è molto poco affine alla ragione informativa in cui oggi di solito è rilegata la definizione di “pubblico”. Ma tale dimensione intuitiva, una volta percepita, ci si presentava come un’esperienza irriducibile e basilare. Il dialogo intimo della fruizione in cui si genera l'immagine-immaginazione sembra d’altronde poter costituire una possibilità di narrazione, non una narrazione epica e precostituita ma evocata e aperta. In questa definizione di “intimo” un’energia sembra voler risollevare la vecchia questione dell’universalismo. Con la differenza che, al giorno d’oggi, un possibile “nuovo universalismo” sarebbe radicato nella particolarità della sensibilità e si presenterebbe solo come epilogo dell’esperienza. Tutte queste nostre osservazioni e riflessioni sollevano e sono state dall'inizio sollevate da una questione essenziale: il mistero che costituisce l’opera d’arte”.

Gianni Caravaggio, aprile 2012

Artisti: Simona Andrioletti, Monia Ben Hamouda, Agostino Bergamaschi, Michele Callearo, Ryan Contratista, Antonio Crotti, Graziano Folata, Sharon Gervasi, Giuliano Giancotti, Virginia Guiotto, Teo Herceg, Erika Kimberly Lizzori, Chiara Luraghi, Emanuele Marullo, Alessandro Mazzatorta, Rebecca Moccia, Giacomo Monza, Alice Parolari, Marco Secondin, Francesco Serenthà.

Veduta dell'allestimento.
Foto di Davide Tremolada

Foto di Davide Tremolada

Foto di Davide Tremolada

Agostino Bergamaschi, La distanza della luna, paraffina, acqua, 37 x 43 x 47 cm, 2012

Interpretazione di uno dei racconti delle Cosmicomiche di Italo Calvino, La distanza della Luna, l'opera dall'omonimo titolo vuole essere immagine evocativa di un tempo e un luogo indefiniti nella realtà, ma possibili in uno spazio immaginativo.
L’immagine evoca questo tempo e questo luogo, un luogo scandito dalla forma e dal materiale. Una forma che subisce, che è sensibile al peso della spinta gravitazionale e si deforma facendo in modo che i limiti geometrici non risultino più nitidi e chiari, creando confini indefiniti e lasciando spazio a una forma più aperta.
La cadenza del tempo è data dal lento cadere della goccia che poco a poco scandisce un ritmo sempre più lento fino a smettere completamente, dando l’idea di qualcosa che si sta gradualmente allontanando.

Foto di Davide Tremolada

Alessandro Mazzatorta, Quel che il mare è stato, marmo, sale, 24 x 20 x 3 cm, 2012

Ho voluto creare un piccolo pezzo di mare, un’immagine ghiacciata, appena accennata, in realtà un’assenza del mare come colore, vastità, potenza; la superficie di sale si appoggia sul marmo e lo ricopre seguendo il suo andamento, si crea un paesaggio cristallizzato, quasi sterile, un’assenza secca che è traccia evocativa. Il bordo della distesa di sale me lo immagino come bagnasciuga della scultura, limite di questo pezzettino di mare.

Foto di Davide Tremolada

Antonio Crotti, Documento II, testo in cornice, 37 x 33 cm, 2012

Foto di Davide Tremolada

Chiara Luraghi, It’s real, stampa digitale su carta baritata, 40 x 31 cm, 2012
Per 365 giorni ho osservato questa casa. La foto corrisponde all'immagine mentale che ho di quella casa.

Foto di Davide Tremolada

Emanuele Marullo, Mi volgo all'origine, gesso, polvere di pietra di Vicenza, zucchero, lievito, 50 x 50 x 15 cm, 2012
Un volume d'impasto d'ingredienti vari poggia su una rosa dei venti (è orientato verso sud). Unico riferimento orienta la mia posizione. La distanza è nulla perché risiede in me.

Foto di Davide Tremolada

Emanuele Marullo, Svuotare le proprie tasche, carta, legno, spago, oggetti curiosi, dimensioni variabili, 2012

Gli oggetti che pesano sul piano sono in generale oggetti raccolti in viaggi (soprattutto quotidiani). Insomma di quelle cose che trovi in giro, o che capitano e tieni con te... ...infatti pensavo alle tasche o bisaccia del migrante...del viandante. É da qualche mese che cammino con una bussola in tasca, discreta, e pensavo di inserirla tra gli oggetti. Anche come forma di legame con la rosa dei venti (che non ha il nord nell'immagine), nel caso in cui il livello del piano permette l'orientamento dell'ago, come suggerimento!

Foto di Davide Tremolada

Erika Kimberly Lizzori, Comprensione organica, 10 x 140 cm, 2012

Qui l’opera si fa ascoltatrice, reagendo ai movimenti del nostro corpo e ai fiati delle nostre parole con dondolii fluttuanti in cui la parte organica, un mio capello, assume un tipico colore ramato se esposto alla luce; da qui un’unione con la parte inorganica, una lamina in rame che forata al centro incorpora il capello e completa questo organismo portandolo a una ricerca sensibile e ad accomunarsi in colori riflessi e leggerezze che giocano tra loro. Un inizio  scatenato dall’interazione di organismi sensibili, in quanto creatori e portatori di immagini, e una fine in cui con l’allontanarsi, ogni corpo tornerà a seguire la propria “polarità”.

Foto di Davide Tremolada

Francesco Serenthà, Senza titolo, video, 2012

…Un volume non è mai immutabile… La realtà mi porta a pensare che una forma subisce sempre e ininterrottamente un processo per cui essa muta (tras-forma), si modifica. Sia che questo processo avvenga per agenti interni a essa o per fattori esterni, esso è infinito. Anche quando crediamo di distruggere qualcosa, in realtà non stiamo disintegrando nulla: stiamo contribuendo a questo processo. Questo avviene anche quando tentiamo di ricomporre quelle stesse parti. In quell’istante l’essenza della forma prevale sulla sua idea: le parti di essa entrano a far parte di una loro unica realtà, pur continuando a comunicare unitariamente.

Foto di Davide Tremolada

Giacomo Monza, Afflato, gesso, 26 x 20 x 40 cm, 2012 (dettaglio)

La struttura della materia è l'aria. Il mio torace, a contatto con il gesso, guida la forma fino al completamento della genesi. Così definita dal respirare, pare averne assunto il simmetrico piglio.

Foto di Davide Tremolada

Giuliano Cataldo Giancotti, Dispositivo per Ferite, canne di bambù e spago, 55 x 16 x 10 cm, 2012

Le ferite ci circondano, siamo pieni di ferite attorno a noi, interiori ed esterne. Esse lasciano il segno, ci modificano e non possiamo farci niente, le curiamo, ma loro non se ne vanno e anche quando sono rimarginate si vedono. Possiamo chiuderle, ma per farlo creiamo altri segni indelebili, che si aggiungono ai precedenti; servirebbe un qualcosa per riuscire a fermare queste ferite, un qualcosa che non danneggi. Per questo ho creato un dispositivo, rifacendomi ai metodi delle antiche popolazioni africane, che per chiudere le ferite inserivano delle canne di bambù con erbe e impasti naturali.

Il dispositivo che ho creato voleva essere un qualcosa che controllasse la deformazione delle ferite, che fosse dinamico, ma mi accorgo che ha una sua staticità, è quasi immobile, rigido di fronte alle spaccature, sembra quasi impassibile di fronte a questo flusso che fuoriesce dalle crepe. Come se fosse appoggiato sulla ferità, in attesa che essa si rimargini, contenendo con forza ma non mostrandola, come un uomo che non vuol mostrare il dolore di fronte a qualcun altro.

Foto di Davide Tremolada

Graziano Folata, Archetipo, marmo di Carrara, cavalletto treppiede, uovo, 2012

L’equilibrio e la produzione di senso che deriva dall’assistere alla nascita dell’immagine, intesa come spazio del possibile in continuo risolversi. Ogni volta che propongo quest’opera, vado a cercare un posizionamento approssimativamente in bolla,del piano di marmo posto sopra il cavalletto, fatto ciò apro un uovo che “misura” la reale inclinazione dell’oggetto, se vi è uno stato d’equilibrio, esso si manterrà all’interno del area del disco di marmo, ecco quindi nascere un meta-strumento, fare di un fenomeno estetico, una visione “livella”. Se l’uovo non venisse cambiato, nel tempo diventerebbe cristallo e andrebbe a trasformarsi in una pietra in mimesi al marmo.

Foto di Davide Tremolada

Graziano Folata, Il Disco di Odino, granito, foglio di lucido, diametro 33 cm, profondità 100 cm, 2011

Leggerezza, invisibilità, insorgenza dell’immagine: ecco le questioni che ho voluto affrontare con quest’opera, il foglio di carta da lucido avvolto intorno al granito ne nasconde due lati, ponendo l’osservatore di fronte ad un oggetto ambiguo, misterioso; soltanto con uno sforzo o ponendosi in una prospettiva arbitraria si può osservare i lati mancanti, l’immagine che appare al contatto del foglio si dà in maniera magica, apparentemente una stampa o il rilievo di una pietra.

Foto di Davide Tremolada

Graziano Folata, Senza Titolo, stampa fotografica, 50 x 50 cm, 2012

Ci sono dei prismi sulla mia mano, danzano e moltiplicano le mie dita.

Foto di Davide Tremolada

Graziano Folata, Senza Titolo, barra di ferro, chewing gum, energia, 120 x 2 x 3 cm, 2011

Si corre su binari arrugginiti dal tempo, ci si divide senza separarsi.

Foto di Davide Tremolada

Michele Calearo, Il volume visto dall’interno, pastiglie di cemento a presa rapida, 1 x 1 x 0,4 cm

Il lavoro è esposto affiancato a un foglietto trovato per terra, un probabile volantino di istruzioni di qualche mobile da montare in cui si riporta in più lingue la frase: “Questo è il lato visto dall'interno”. Le pillole sono state ricavate calcando con il cemento a presa rapida la custodia vuota delle pastiglie di fermenti lattici, introspettando la forma di un concetto ribaltato, nel contenere il materiale che solitamente è quel che ci contiene.

Foto di Davide Tremolada

Monia Ben Hamouda, Nessun destino perpetuo, acqua, additivi, 2012

Esistere in modo biologico, all’interno di luoghi in cui posso rafforzarmi, costruire il mio io. Il biologico è il mio luogo di esistenza come individuo cosciente e sensibile.

Foto di Davide Tremolada

Rebecca Moccia, Progetto di opere future, creta, terra, sabbia, mattone, basilico, dimensioni variabili, 2012

Si tratta di tempo trascorso tra ciò che era (“Pasolini”), erano (“le lucciole”) ed è, sono, e come se quel tempo non avesse avuto una durata, profana, ma essendo tempo concentrato di grande intensità, un tempo magico e religioso, abbia avuto invece un destino di creazione. Quella luce lì quindi, anche quando è spenta, è nulla lucente, inespresso esistente. Così questi atti, questi lavori hanno l’immagine di qualcosa di retroattivo, un principio forse di dialettica, senza tempo (o continuità), ma avendo in ogni sguardo rivolto le ragioni per reiniziare a immaginare, insieme nascondiglio, nido di rondine, campo di fiori, terra misteriosa che non ha radici se non nelle mani, ogni germoglio, di cui mi prendo cura, gode direttamente del suo essere, dei luoghi in cui l’abbiamo riconosciuto che quello era veramente amore.

Foto di Davide Tremolada

Ryan Contratista, Senza titolo, specchio, ombra, faretto, marmo, 120 x 95 x 30 cm, 2012

L’immagine sembra scomporsi in più piani di questo corpo, il corpo fisico, quello dello specchio di natura effimera, quello dell’ombra che scompare solo quando il corpo cessa di esistere. Le due proiezioni dell'ombra e dello specchio si mostrano all’occhio di volta in volta soltanto in uno o l’altro dei suoi aspetti parziali eppure, questi due aspetti del corpo sembrano staccarsi da esso sottolineandone una natura diversa, condividendone però l’origine e un essenza comune.

Foto di Davide Tremolada

Ryan Contratista, Un giorno in attesa, plexiglass, faretto, cavo elettrico, 50 x 70 cm, altezza variabile, 2012

Seguendo con lo sguardo il filo e poi avvicinandosi ai plexiglass, un sole antico sembra sorgere da essi, si irradia come se fosse sempre stato lì, in attesa che qualcuno lo avvicinasse. Per un attimo la funzione quotidiana che gli oggetti hanno si annulla, si dimentica e una nuova immagine si rivela dal silenzio, richiamando in noi qualcosa di remoto e di sopito che finalmente torna in luce. 

Foto di Davide Tremolada

Sharon Gervasi, Armata, ami, cavi elastici, garza, piombi, dimensioni variabili, 2012

Pensare a una condizione, precaria, come quella del pesce mentre lotta per liberarsi da un amo che dalla bocca si infilza sotto pelle. Uno scontro di pochi secondi, forse minuti, ma vitali per l‘essere e la sua esistenza. Una lotta ad armi impari.
La presa di posizione e la lotta per questa induce a volte ad una battaglia. La gravità dell’azione, dei pensieri e la presa di coscienza di fronte a questi oltre che alla realtà e all’esperienza, comporta una resistenza di questa coscienza, arrischiando, se necessita, il rimetterci la propria pelle.

Foto di Davide Tremolada

Simona Andrioletti, CONIUNCTIO OPPOSITORUM, zucchero, gesso, 2012

Pensavo alla dispersione e alla trasformazione. Qualcosa che si svuota creando al contempo un pieno. L’idea crea una forma che nel tempo inizia a suggerire altro fino a mutare l’originale significato. Questa trasformazione e dispersione dell’idea primaria la collego al vuoto, creatosi da un passaggio fisico e mentale; il pieno diventa il nuovo pensiero che nel tempo si è costruito. Le due parti non possono più vedersi come separate, rimangono strettamente legate ed entrambe portano con sé tracce dell’altra parte.

Foto di Davide Tremolada

Teo Herceg, There is no conception, everything that we’re given is contraception (Non esistono più concetti, solo contraccettivi / Ne postoji nikakva koncepcija samo se nudi kontracepcija)

Programmati a pensare solo in una certa forma, isolati dal mondo che ci circonda, sintonizzati solo su certe frequenze non possiamo percepire l'immoralità che ci imprigiona. L'uomo nichilista del passato recente è mutato in un essere apatico. Egli pensa di vivere emozioni ma in efetti è vuoto. In realtà le sue emozioni sono dei piaceri istantanei guidati da un falso gusto che si consuma come una scintilla di un fiammifero per poi scomparire nel nulla. Cerchiamo invano di rinvenire queste emozioni naturali, ma ci perdiamo nella selva oscura del consumismo, delle luci ipnotizzanti della televisione, delle pubblicità, degli stuperfacenti.
Siamo diventati mandrie di primati sciupati, smarriti tra le coscie delle puttane innebrianti, persi nelle identità fittizie delle maschere con le quali ci avvolgiamo per coprire la nostra vigliaccheria. Penso che sia venuto il momento di cambiare la veste che soffoca la nostra soggettività, assistere alla creazione di un nuovo baricentro, e abbattere le mura della quotidianità.

Foto di Davide Tremolada

Virginia Guiotto, accedere alla propria sostanza, gesso, colla vinilica, 2 x 54 x 65 cm, 2012.

Le mie mani si estendono alla naturale apertura profilando una circolarità che diviene in un secondo momento materia, margine sensibile sul quale matura l’esposizione di un corpo, che esiste nel momento in cui io ne sollevo il bordo, l’estremità, in quanto ha la sua possibilità nel cambiare foggia, spogliarsi della stessa pellicola e respirare.

Foto di Davide Tremolada