Il primo viaggio in Senegal era stato così sereno: guardavano tutto con occhi esterrefatti, i ragazzi colpiti da un mondo così diverso, Modou usava lo sguardo di suo figlio, e Patty si lasciava organizzare le giornate e si sentiva protetta. C’era davvero bisogno di protezione in un ambiente così estraneo, così difficile, dove non si avrebbe voluto essere visti, ed invece si era evidenti, con la pelle diversa. Ti trattavano con deferenza e anche aspettandosi qualcosa. Gli uomini con espressione divertita, quasi caustica, le donne con fare incuriosito. Il viaggio con i ragazzi fu un’oasi di felicità per tutti loro. Anche solo gli spostamenti in auto erano interessanti, in mezzo a quei paesaggi di steppa affascinanti e a un’umanità così allegra e accogliente. Modou organizzava tutto perfettamente. Fu orgoglioso di mostrare agli ospiti la scuola di sartoria di Sunugal, Gis Gis. Nella periferia di Dakar le strade sono di terra battuta e le capre vivono con gli umani. I minuscoli punti vendita di beni di uso quotidiano - sacchi di riso, caffè, cibo e schede telefoniche - si affacciano sulla strada, assieme ai sarti che offrono i loro servizi cucendo abiti coloratissimi su misura. L’abito è un’attività sicura e a basso investimento di capitali. Così Sunugal ha avviato una scuola di taglio e cucito per le giovani del quartiere. È pur sempre un motivo di speranza per queste ragazze, ed i prodotti cuciti nella scuola sono davvero belli, confezionati con una sapienza occidentale. Chissà quale destino aspetterà queste fanciulle, se i loro desideri potranno avverarsi in un futuro di indipendenza economica e di qualifica riconosciuta. Certo è che essere donna è ancora difficile, in Africa, perché comunque i maschi e le femmine crescono in mondi separati, con diritti diversi.
Poi si andò in visita alle Manifatture senegalesi di Arti Decorative, un ambizioso progetto fondato dal Presidente Senghor negli anni ’60.
Per Modou era tutto nuovo, perché era la prima volta che attraversava il suo Paese come turista, con gli agi del caso. Si fermavano in strutture del turismo responsabile, dove purtroppo erano spesso i soli ospiti: le attività locali facevano fatica a decollare. Una volta superato il triste stupore per essere i soli viaggiatori, godevano l’intimità e la selvatichezza dei luoghi. Le serate nelle riserve naturali erano affascinanti. Praticamente erano soli nella notte africana. La sera che i quattro attraversarono la boscaglia e raggiunsero la sabbia sulla riva delle backWaters, i ragazzi guardavano il cielo e si misero a divagare sulla distanza delle stelle e sulle tecniche per misurarla. Condividevano una certa passione scientifica. Modou fece finta di non ascoltare, non voleva sentire, gli sembravano futili quei discorsi da poeti e da scienziati, bisognava restare con i piedi ben saldi per terra. Disse di tornare alla struttura.
Anche durante la visita in canoa alla riserva ornitologica, Modou era abbastanza esterrefatto. Si scivolava nel silenzio di acque perfettamente calme e si ascoltava solo il rumore della natura. Anche qui soli. Si cercava di avvistare gli stupendi uccelli migratori che vi facevano sosta. Che strano passatempo, decisamente da tubab! Eppure era piacevole, con il proprio figlio. Modou viveva quella contraddizione, si sentiva bene ma anche in colpa per essere in quei momenti così perfettamente inutile, con tutto quello che avrebbe potuto fare per la sua comunità. Quando poteva, cercava un po’ di campo Wi-Fi e si connetteva alle e-mail del suo computer-non aveva ancora l’iPhone che Patty gli avrebbe poi regalato. Nel frattempo, i ragazzi giocavano a scacchi. Era incredibile come quei due fossero bene assortiti. Nonostante le storie tanto diverse dei due genitori, loro avevano vite simili e soprattutto interessi simili. Erano due ragazzi colti e curiosi, a spasso per l’Africa.
Visitarono perfino il parco zoologico fuori Dakar. E si recarono a quell’incredibile resort che è Sobo Badè, fondato a Toubab Dialaw negli anni ’70 da un giamaicano.
Ma i ragazzi si adattavano anche ai pasti sempre identici a base di riso, consumati frugalmente dove capitava. Una volta si fermarono lungo la strada ad un baracchino decisamente locale e si sedettero fra le molte mosche. Una famiglia senegalese sedeva alle loro spalle. Allora Modou prese il cellulare del figlio di Patty e mostrò ai vicini di tavolo le fotografie dei gattini che il ragazzino a Milano aveva appena adottato. I senegalesi risero imbarazzati. Non volevano credere che dei gatti potessero essere oggetto di tali cure. Gli animali per loro erano parte della natura e lì dovevano rimanere, non erano oggetto di affezione. Anzi erano un po’ sporchi e pericolosi. Invece questo alieno se li portava perfino nel telefonino. Animali che nei paesi occidentali godono sicuramente di molte più cure mediche della media degli africani e vivono una vita molto più agiata.
Il giorno in cui i ragazzi e Patty dovettero rientrare in Italia, erano tristi di lasciare Modou in quel luogo così arretrato. Improvvisamente sembrò loro indifeso. Avrebbe dormito alla scuola di sartoria, un po’ come capitava, non più con i lussi del turista. Modou avrebbe ammesso di essersi sentito solo, e malinconico. Una delle poche ammissioni simili della sua esistenza abbastanza dura e temprata ai sentimentalismi.
Patty sarebbe tornata ancora in Senegal, per esempio a visitare il nuovo Centro di educazione socioculturale che Sunugal aveva aperto a Thies, dove ebbe piacere di vedere in bella mostra i libri che i suoi figli avevano regalato. E per incontrare il Ministro dell’Agricoltura, in un funambolesco tentativo di impiantare degli inceneritori di gusci di noccioline e rifiuti vari fuori Dakar, per dare energia ai villaggi circostanti; progetto sviliuppato da Amedeo Strada, uno dei coworker di Viafarini.
Patty sarebbe tornata anche per la Biennale di Dakar, nel 2016, assieme a Giulio Verago. L’idea venne loro mentre si trovavano ospiti a Londra per il Premio Maramotti, e fecero la conoscenza di Sybille, una giornalista belga tra arte e moda che era appassionata del Senegal. Decisero così di ritrovarsi a Dakar per la Biennale e prenotarono una stanza in un’abitazione di poco conto a nord della città in riva al mare che Sybille aveva scelto. I viaggi per arrivare in centro erano lunghi ed estenuanti, e subito nacque un diverbio tra Patty e Sybille se era giusto lasciare la mancia a quel poveretto che li scarrozzava in giro tutto il giorno. Da quel dì le loro strade si sarebbero divise.
Giulio e Patrizia poterono così recarsi indisturbati a Espace Medina, nel quartiere variopinto di Medina appunto, gestito dall’artista Moussa Traorè che conoscevano tramite Sunugal, e che proponeva per la Biennale un’interessante installazione realizzata con alcuni degli artisti che frequentavano l’interessante spazio.
Avrebbero poi invitato Moussa a partecipare ad Engage nel 2017. E nel 2017 Moussa avrebbe realizzato un progetto di arte urbana per le strade di Dakar.
Si concessero anche una interessante visita al IFAN Museum of African Arts a Dakar.
Ed infine colsero al volo l’offerta di Paolo Lodigiani, un signore milanese sponsor di Sunugal che sosteneva progetti in Senegal, e partirono con lui per un giro turistico nel meraviglioso Siné-Saloum, al delta dei due fiumi omonimi, un vero paradiso terrestre.
con il Patrocinio di Comune di Milano
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con la collaborazione di Assessorati Educazione e Politiche Sociali
con la collaborazione come ambasciatori sociali di FabriQ - Incubatore di Innovazione Sociale del Comune di Milano
con il contributo di Fondazione Cariplo.
ENGAGE è un programma di formazione e ricerca, rivolto ad artisti italiani e internazionali, invitati a spendere un periodo di residenza e lavoro a Milano tra l'11 e il 20 ottobre, in dialogo con mediatori socioculturali, con l'obiettivo di sperimentare modalità innovative di interazione della ricerca artistica e della sfera sociale nello spazio cittadino.
ENGAGE prende la forma della Public School, modello già sperimentato a livello internazionale, basato sull'interazione orizzontale e non gerarchica tra artista, mediatore culturale e comunità.