Alex Pinna, Mi è sembrato di vedere un gatto

9 - 25 gennaio 1997
a cura di Alessandra Galletta

"Le storie animate - pensiamo a quelle della Warner o Hanna & Barbera - raramente prevedono una “correttezza politica”: piuttosto il mondo che propongono si divide inequivocabilmente in furbi e fessi. I primi mettono continuamente a punto tecniche che mettono in evidenza la pochezza intellettuale e di sense of humour dei secondi, che infatti si attirano l’antipatia del grande pubblico televisivo. Jerry la fa sempre franca con Tom, Popeye ha la meglio su Bluto, mentre nulla può Duffy Duck contro l’ironia e il disinteressato senso dell’assurdo di Bugs Bunny. Similmente a quelli che gravitano nel mondo dell’arte, questi eroi di cartone sono personaggi liberi e pieni di iniziativa. Hanno uno spirito nomade e sono nullatenenti, senza fissa dimora e questo fa di loro esseri sinceri, incapaci di piegarsi all’autorità. Ma il disegno artistico può più di un disegno animato: quello che nei comics è uno scontro duro, divertente, vitale può infatti, se trasposto nel territorio altrettanto libero dell’arte, raggiungere estremi inammissibili alle dure leggi del ripetitivo mercato dei cartoni. 

Alex Pinna, già eroe in carne ed ossa per aver messo la parola fine allo scontro epocale tra l’odioso Beep Beep e il disperato Willy il Coyote grazie ad una pesante incudine sul corpo finalmente senza vita dello struzzo, prosegue con “mi è sembrato di vedere un gatto” la sua azione di giustiziere dell’immaginario collettivo. Sylvester, ospite da sempre in una casa di umani da cui può essere cacciato in ogni momento, ha finalmente la meglio sull’adorato Tweety, con innegabile soddisfazione degli astanti, i quali possono addirittura tornarsene a casa con in tasca qualche piuma dell’ormai straziato canarino. 

Il mondo dei cartoni animati ha già da tempo, e a pieno titolo, fatto il suo ingresso in quello dell’arte e, di contaminazione in contaminazione, un feto umano porta sguardi da pelouche, orecchie da Topolino o una coda di pesce. Qui continua il divertente e interminabile gioco delle parti televisivo, anzi, Pinna ce ne propone addirittura uno nuovo. Chi avrà la meglio tra le sue occhiute matite incapaci di smettere di disegnare e le ostinate gomme che non chiedono altro che praticare il loro ruolo censorio, cancellatorio, eliminatorio? Chi è il furbo e chi il fesso? Forse alla prossima puntata. Per ora “That’s all, Folks!”. 

Alessandra Galletta 

"Il punto di partenza è ancora una volta il mondo dei cartoons e la sua visione domestica, televisiva, quindi intima e appartata che si pone in alternativa all’evento cinematografico disneyano. Ma sempre di più questo appare come un pretesto. L’installazione, presentata al Magasin di Grenoble nella mostra Des histoires des formes e quindi alla personale in Viafarini, punta innanzitutto sulla suggestione cromatica: 70 chili di piume gialle invadono lo spazio provocando agli occhi un bagliore e coinvolgendo il pubblico anche per l’odore. Inoltre, c’è poi l’effetto sorpresa della gabbietta vuota, beffardamente aperta. Nell’intenzione di Pinna lo spazio deve essere utilizzato in maniera plurisensoriale. Il colore qui fuoriesce dalla pittura e diventa altro, olfatto e anche tatto. E’ come se l’esperienza dell’attraversamento “appiccicasse” irreversibilmente una parte di opera al visitatore, che calpestando il pavimento o passando vicino alle piume svolazzanti si porta via un pezzo di lavoro e quindi ha compiuto un transfer completo. In altri casi, per esempio alla mostra Arte per tutti allestita da Loredana Parmesani all’ex ospedale Soave di Codogno (1997), Pinna utilizza un talco al profumo di lavanda che attrae le suole delle scarpe e i cappotti neri degli spettatori: al centro di un grande mare bianco in polvere soltanto un piccolo feto in raccoglimento cogitativo. 
Nella preparazione di questi lavori c’è tutto un aspetto narrativo e aneddottico che riguarda la lavorazione, la tintura, il trasporto, tra eroismo e puro divertimento. Molte opere del periodo sono nate in uno spazio occupato lungo la ferrovia dietro Porta Romana, a Milano."

Luca Beatrice

Alex Pinna, Mi è sembrato di vedere un gatto

9 - 25 gennaio 1997
a cura di Alessandra Galletta

"Le storie animate - pensiamo a quelle della Warner o Hanna & Barbera - raramente prevedono una “correttezza politica”: piuttosto il mondo che propongono si divide inequivocabilmente in furbi e fessi. I primi mettono continuamente a punto tecniche che mettono in evidenza la pochezza intellettuale e di sense of humour dei secondi, che infatti si attirano l’antipatia del grande pubblico televisivo. Jerry la fa sempre franca con Tom, Popeye ha la meglio su Bluto, mentre nulla può Duffy Duck contro l’ironia e il disinteressato senso dell’assurdo di Bugs Bunny. Similmente a quelli che gravitano nel mondo dell’arte, questi eroi di cartone sono personaggi liberi e pieni di iniziativa. Hanno uno spirito nomade e sono nullatenenti, senza fissa dimora e questo fa di loro esseri sinceri, incapaci di piegarsi all’autorità. Ma il disegno artistico può più di un disegno animato: quello che nei comics è uno scontro duro, divertente, vitale può infatti, se trasposto nel territorio altrettanto libero dell’arte, raggiungere estremi inammissibili alle dure leggi del ripetitivo mercato dei cartoni. 

Alex Pinna, già eroe in carne ed ossa per aver messo la parola fine allo scontro epocale tra l’odioso Beep Beep e il disperato Willy il Coyote grazie ad una pesante incudine sul corpo finalmente senza vita dello struzzo, prosegue con “mi è sembrato di vedere un gatto” la sua azione di giustiziere dell’immaginario collettivo. Sylvester, ospite da sempre in una casa di umani da cui può essere cacciato in ogni momento, ha finalmente la meglio sull’adorato Tweety, con innegabile soddisfazione degli astanti, i quali possono addirittura tornarsene a casa con in tasca qualche piuma dell’ormai straziato canarino. 

Il mondo dei cartoni animati ha già da tempo, e a pieno titolo, fatto il suo ingresso in quello dell’arte e, di contaminazione in contaminazione, un feto umano porta sguardi da pelouche, orecchie da Topolino o una coda di pesce. Qui continua il divertente e interminabile gioco delle parti televisivo, anzi, Pinna ce ne propone addirittura uno nuovo. Chi avrà la meglio tra le sue occhiute matite incapaci di smettere di disegnare e le ostinate gomme che non chiedono altro che praticare il loro ruolo censorio, cancellatorio, eliminatorio? Chi è il furbo e chi il fesso? Forse alla prossima puntata. Per ora “That’s all, Folks!”. 

Alessandra Galletta 

"Il punto di partenza è ancora una volta il mondo dei cartoons e la sua visione domestica, televisiva, quindi intima e appartata che si pone in alternativa all’evento cinematografico disneyano. Ma sempre di più questo appare come un pretesto. L’installazione, presentata al Magasin di Grenoble nella mostra Des histoires des formes e quindi alla personale in Viafarini, punta innanzitutto sulla suggestione cromatica: 70 chili di piume gialle invadono lo spazio provocando agli occhi un bagliore e coinvolgendo il pubblico anche per l’odore. Inoltre, c’è poi l’effetto sorpresa della gabbietta vuota, beffardamente aperta. Nell’intenzione di Pinna lo spazio deve essere utilizzato in maniera plurisensoriale. Il colore qui fuoriesce dalla pittura e diventa altro, olfatto e anche tatto. E’ come se l’esperienza dell’attraversamento “appiccicasse” irreversibilmente una parte di opera al visitatore, che calpestando il pavimento o passando vicino alle piume svolazzanti si porta via un pezzo di lavoro e quindi ha compiuto un transfer completo. In altri casi, per esempio alla mostra Arte per tutti allestita da Loredana Parmesani all’ex ospedale Soave di Codogno (1997), Pinna utilizza un talco al profumo di lavanda che attrae le suole delle scarpe e i cappotti neri degli spettatori: al centro di un grande mare bianco in polvere soltanto un piccolo feto in raccoglimento cogitativo. 
Nella preparazione di questi lavori c’è tutto un aspetto narrativo e aneddottico che riguarda la lavorazione, la tintura, il trasporto, tra eroismo e puro divertimento. Molte opere del periodo sono nate in uno spazio occupato lungo la ferrovia dietro Porta Romana, a Milano."

Luca Beatrice