Pierluigi Calignano, ci sono sogni che preferirei non ricordare

19 novembre - 7 dicembre 2002
a cura di Roberto Pinto

"Ci sono sogni che preferirei non ricordare" perché poi li devo realizzare.
Il lavoro nasce di notte durante un sogno, ed è ambientato al buio. Per un certo periodo, qualche anno fa, ho pensato all'utilizzo di palafitte per realizzare delle città temporanee e sospese, città che mutano e si trasformano in continuazione. Erano fatte di cartone e legno perchè era necessario un legame immediato col tempo. Non erano città stabili e immortali, ma percepibili attimo per attimo.
Ogni attimo rappresentava un'eternità isolata, un presente singolo o una vita intera. Il sentire e percepire tutta la città, tutte le forme, le infinite storie, si incastravano in un unico momento, istantaneo ed infinito. Sentivo inoltre l'esigenza di usare il minimo indispensabile sia nei materiali che nelle forme. Mi ritrovavo ancora una volta a ricercare qualcosa nella semplicità di un'azione.
Una notte durante un sogno ho visto la città prendere forma. Solo che al posto delle case fatte di cartone c'erano delle tende da campeggio illuminate dall'interno. Mi è sembrato chiaro e sufficiente per quello che io e la città volevamo dire. La città sospesa si trova ancora una volta sopra il livello di qualcosa, come a doversi difendere da un nemico che viene dal basso.
Il nemico non identificato può essere l'acqua come la folla o la terra stessa. Il distaccamento dalla terra lega l'uomo al piccolo gesto del volersi difendere dall'ignoto con un atto ingegnoso e infantile, a credere di potersi salvare tramite la propria decisione di vita. Questo gesto è una speranza. La città contemporaneamente non si stacca da terra ma galleggia nella propria mutabilità. E' immersa nella propria realtà, l'aria che la circonda diventa il liquido vitale che la rende esistente e prigioniera di questa esistenza. La sospensione e l'aria sono la sua linfa. Il movimento è insito nella sua struttura e nella sua apparente immobilità. Le tende da campeggio diventano moduli geometrici luminosi, unità abitative precarie, disposte nello spazio senza nessun riferimento alla loro funzione, senza necessariamente avere un alto-basso reale, ma messe quasi casualmente seguendo il roteare dei singoli moduli su loro stessi e rispetto agli altri. Esse diventano gli elementi di questo grande organismo di movimento e aria. La presenza dell'uomo è annullata in quanto la città è nell'uomo. E' proprio come un sogno o un organismo fatto di sogno, come un ricordo materializzato.
La città diventa assente, testimonianza del passaggio, del viaggio, immobile e immateriale. Prende forma al chiuso, in una stanza. Lo spazio che la contiene è totalmente oscurato. All'interno di ogni modulo-tenda c'è una luce tenue che rende la città non illuminata ma illuminante.
Volevo che la sua percezione non fosse violenta (dall'esterno all'oggetto), ma dipendente dall'oggetto stesso.
Come in un dialogo tra persona e opera, come nella lettura di un breve racconto. Non posso guardare negli occhi qualcuno se non mi guarda negli occhi".

Pierluigi Calignano

Pierluigi Calignano, ci sono sogni che preferirei non ricordare

19 novembre - 7 dicembre 2002
a cura di Roberto Pinto

"Ci sono sogni che preferirei non ricordare" perché poi li devo realizzare.
Il lavoro nasce di notte durante un sogno, ed è ambientato al buio. Per un certo periodo, qualche anno fa, ho pensato all'utilizzo di palafitte per realizzare delle città temporanee e sospese, città che mutano e si trasformano in continuazione. Erano fatte di cartone e legno perchè era necessario un legame immediato col tempo. Non erano città stabili e immortali, ma percepibili attimo per attimo.
Ogni attimo rappresentava un'eternità isolata, un presente singolo o una vita intera. Il sentire e percepire tutta la città, tutte le forme, le infinite storie, si incastravano in un unico momento, istantaneo ed infinito. Sentivo inoltre l'esigenza di usare il minimo indispensabile sia nei materiali che nelle forme. Mi ritrovavo ancora una volta a ricercare qualcosa nella semplicità di un'azione.
Una notte durante un sogno ho visto la città prendere forma. Solo che al posto delle case fatte di cartone c'erano delle tende da campeggio illuminate dall'interno. Mi è sembrato chiaro e sufficiente per quello che io e la città volevamo dire. La città sospesa si trova ancora una volta sopra il livello di qualcosa, come a doversi difendere da un nemico che viene dal basso.
Il nemico non identificato può essere l'acqua come la folla o la terra stessa. Il distaccamento dalla terra lega l'uomo al piccolo gesto del volersi difendere dall'ignoto con un atto ingegnoso e infantile, a credere di potersi salvare tramite la propria decisione di vita. Questo gesto è una speranza. La città contemporaneamente non si stacca da terra ma galleggia nella propria mutabilità. E' immersa nella propria realtà, l'aria che la circonda diventa il liquido vitale che la rende esistente e prigioniera di questa esistenza. La sospensione e l'aria sono la sua linfa. Il movimento è insito nella sua struttura e nella sua apparente immobilità. Le tende da campeggio diventano moduli geometrici luminosi, unità abitative precarie, disposte nello spazio senza nessun riferimento alla loro funzione, senza necessariamente avere un alto-basso reale, ma messe quasi casualmente seguendo il roteare dei singoli moduli su loro stessi e rispetto agli altri. Esse diventano gli elementi di questo grande organismo di movimento e aria. La presenza dell'uomo è annullata in quanto la città è nell'uomo. E' proprio come un sogno o un organismo fatto di sogno, come un ricordo materializzato.
La città diventa assente, testimonianza del passaggio, del viaggio, immobile e immateriale. Prende forma al chiuso, in una stanza. Lo spazio che la contiene è totalmente oscurato. All'interno di ogni modulo-tenda c'è una luce tenue che rende la città non illuminata ma illuminante.
Volevo che la sua percezione non fosse violenta (dall'esterno all'oggetto), ma dipendente dall'oggetto stesso.
Come in un dialogo tra persona e opera, come nella lettura di un breve racconto. Non posso guardare negli occhi qualcuno se non mi guarda negli occhi".

Pierluigi Calignano