Elisabetta Di Maggio

15 settembre - 2 ottobre 2005
a cura di Francesca Pasini

​​​​​​"Elisabetta Di Maggio, usando dei pattern tratti da antichi merletti, intaglia col bisturi la carta velina o l’intonaco delle pareti.
Nella carta ottiene un traforo che ricorda gli ornamenti architettonici medievali e orientali; nei muri affiora un “velo” trasparente che, tra i ricami, fa riemergere i colori sovrapposti dagli intonaci, evocando la densità che si accumula nelle case.
Ricordano l’esclusione storica delle donne rispetto alla scena dell’arte e indicano una visionarietà che trascende l’idea stessa del ricamo per assumere i connotati di impreviste strutture portanti.

Il progetto che Elisabetta Di Maggio ha realizzato per Viafarini è costituito da due grandi pareti di carta traforata che, una di fronte all’altra, chiudono il varco di ingresso alla stanza espositiva principale. Lo spessore del muro viene sostituito da due impalpabili pareti, dove il riflesso dei reciproci “ricami” trattiene il vuoto e la luce. Lo spazio retrostante diventa così un grande polmone inaccessibile: per entrarvi si passa dalla strada che dà sul retro, mentre, se si usa l’ingresso principale, si viene bloccati davanti a questo leggerissimo muro.

Il movimento / sbarramento ricorda il rapporto tra sé e sé che accompagna il lavoro di incidere e ricamare, quindi un rapporto intimo, in qualche modo segreto, sottolineato dal sistema di conservazione di queste opere, contenute in algide scatole d’acciaio, dove l’asetticità del materiale si intreccia a quella del bisturi.

Il carattere diaframmatico di questa anomala architettura, accentua l’idea di spazio incluso, dove il vuoto mantiene un proprio respiro. E’ immediato pensare ai chiostri, agli orti chiusi dei conventi e al tempo vuoto della merlettaia, ma anche a quel vuoto simbolico che l’artista intercetta dentro di sé quando inventa un’immagine. Così Elisabetta Di Maggio interpreta l’eredità segnica e formale di milioni di anonime artiste che, in tutte le culture, hanno dato vita alla mobile architettura degli oggetti e degli indumenti che accompagnava le ritualità delle case, delle chiese, delle regge."

Francesca Pasini

Con il patrocinio e il contributo del Comune di Milano - Cultura e Musei, Settore Musei e Mostre.

Elisabetta Di Maggio

15 settembre - 2 ottobre 2005
a cura di Francesca Pasini

​​​​​​"Elisabetta Di Maggio, usando dei pattern tratti da antichi merletti, intaglia col bisturi la carta velina o l’intonaco delle pareti.
Nella carta ottiene un traforo che ricorda gli ornamenti architettonici medievali e orientali; nei muri affiora un “velo” trasparente che, tra i ricami, fa riemergere i colori sovrapposti dagli intonaci, evocando la densità che si accumula nelle case.
Ricordano l’esclusione storica delle donne rispetto alla scena dell’arte e indicano una visionarietà che trascende l’idea stessa del ricamo per assumere i connotati di impreviste strutture portanti.

Il progetto che Elisabetta Di Maggio ha realizzato per Viafarini è costituito da due grandi pareti di carta traforata che, una di fronte all’altra, chiudono il varco di ingresso alla stanza espositiva principale. Lo spessore del muro viene sostituito da due impalpabili pareti, dove il riflesso dei reciproci “ricami” trattiene il vuoto e la luce. Lo spazio retrostante diventa così un grande polmone inaccessibile: per entrarvi si passa dalla strada che dà sul retro, mentre, se si usa l’ingresso principale, si viene bloccati davanti a questo leggerissimo muro.

Il movimento / sbarramento ricorda il rapporto tra sé e sé che accompagna il lavoro di incidere e ricamare, quindi un rapporto intimo, in qualche modo segreto, sottolineato dal sistema di conservazione di queste opere, contenute in algide scatole d’acciaio, dove l’asetticità del materiale si intreccia a quella del bisturi.

Il carattere diaframmatico di questa anomala architettura, accentua l’idea di spazio incluso, dove il vuoto mantiene un proprio respiro. E’ immediato pensare ai chiostri, agli orti chiusi dei conventi e al tempo vuoto della merlettaia, ma anche a quel vuoto simbolico che l’artista intercetta dentro di sé quando inventa un’immagine. Così Elisabetta Di Maggio interpreta l’eredità segnica e formale di milioni di anonime artiste che, in tutte le culture, hanno dato vita alla mobile architettura degli oggetti e degli indumenti che accompagnava le ritualità delle case, delle chiese, delle regge."

Francesca Pasini

Con il patrocinio e il contributo del Comune di Milano - Cultura e Musei, Settore Musei e Mostre.