Intercultura - Capitolo 14 L'economia della ristrutturazione

2017

Evidentemente i budget funzionavano solo nel computer di Patty, e si faceva fatica ad ottenere informazioni esatte. Esse venivano estorte da Patty con una pazienza infinita, qualche volta con musi e con litigi. Sembrava di voler rubare un segreto di stato. A fatica si arrivò a primavera del 2017, Patty faceva conto che le spese di quel periodo sarebbero state coperte dalla Fondazione, ed era quindi abbastanza tranquilla. Ma il vero problema di queste piccole organizzazioni non profit, oltre alle incertezze dei contributi, che possono essere vinti o persi un po' come a una lotteria, sono le tempistiche: gli enti finanziatori si riservano tempi biblici per valutare, considerare, dare risposte, rendicontare, liquidare… Da quando in Italia il non profit è diventato un mestiere, queste Fondazioni devono occuparsi di una infinità di microprogetti, quindi impegnare molte persone, in esacerbanti pratiche burocratiche. Impossibile in Italia sostenere le organizzazioni qualificate e meritevoli con contributi deliberati preventivamente con periodicità regolare, invece si è sviluppato il mondo dei bandi: se la sorte è propizia, il contributo è deciso a progetto avviato, e quindi si opera al buio delle condizioni economiche. Si rischia, si spera, si viaggia per approssimazione. Nella circostanza fortunata di un sì, nella esecuzione e rendicontazione trascorre più di un anno, e poi oltre sei mesi per vedere accreditato il contributo sul conto. Questo sistema affossa molte organizzazioni che non hanno le spalle coperte finanziariamente e non sono avvedute e competenti nella gestione. E molto prudenti. Se Modou fosse stato prudente, non si sarebbe mai trovato ora, a Milano, a capo di una attività importante. Sarebbe probabilmente ancora al suo villaggio. Ma questo alle Fondazioni non può interessare. Hanno i loro meccanismi interni. Patty era stata la prima associazione ad essere sostenuta come non profit culturale a Milano, aveva quindi avuto modo di osservare i meccanismi da vicino. Negli ultimi 15 anni, aveva avuto difficoltà a sviluppare con gli enti un rapporto bilaterale: troppe organizzazioni in lista a chiedere contributi, poco tempo dei funzionari per visitare la sede ed entrare nel merito concreto dei progetti. I progetti dovevano essere valutati sulla carta, ed avevano funzionato o meno in base alla chiarezza espositiva di cui Patty aveva goduto in una giornata piuttosto che in un’altra.

Se Patty non avesse vissuto sulla sua pelle le difficoltà determinate da queste procedere, non avrebbe compreso l’incubo in cui operava Modou. Questi meccanismi “non profit” non erano assolutamente adatti ad una mentalità africana. Era come pretendere che degli africani nullatenenti, che vivono necessariamente alla giornata, pianificassero i movimenti finanziari con un anticipo di un anno e mezzo! Anche se i bandi parlano di intercultura, questa è una considerazione che nessuno ha mai fatto.

Così Modou continuava a navigare a vista, da anni ormai con lo stesso sistema. Era impossibile correggere la mentalità di quei contabili cresciuti in Senegal, era impossibile convincere le Fondazioni che ci voleva un altro atteggiamento. Così anche il 2017 era iniziato tra un urlo di Patty a Modou e ai suoi collaboratori e una telefonata implorante alla Fondazione. A primavera del 2017 Patty capitolò ed effettuò un bonifico per dare ossigeno alla Organizzazione. Nel frattempo si era arrivati ad ottenere i permessi, i lavori di ristrutturazione potevano iniziare!

Qui Patty fu responsabile di una decisione positiva e scellerata al tempo stesso: presentò le imprese che già conosceva, con cui regolarmente collaborava. Esse presentarono preventivi migliori e con più garanzie, quindi furono affidati a loro i lavori. Se da una parte si aveva la sicurezza di avere le migliori maestranze, oneste e di fiducia, che infatti ottemperarono più che egregiamente ai loro impegni, la scelta mise Patty nella condizione di sentirsi sempre responsabile degli impegni economici nei loro confronti. Un salasso. 

Da qui in poi, Patty cedette a una serie di bonifici anticipatori che non avrebbe dovuto mai fare, perché non avrebbe dovuto fidarsi delle competenze gestionali dell’Organizzazione né della solerzia delle Fondazioni.

Quello che però successe, fu che Patty, come la volta precedente, si ritrovò entusiasta di occuparsi dei lavori. Forse avrebbe dovuto davvero proseguire la carriera di architetto, e non cambiare studi, all’epoca. Modou aveva terrore nel mettere Patty in contatto con la direzione lavori, pensava che avrebbe finito per aggredire le architette. Invece Patty, che andava sempre d’accordo con le persone di buon senso e di seri principi, costruì con loro un ottimo rapporto, tanto che spesso Modou si sentiva accerchiato ed allora sbottava, si trasformava in quella persona brutale che talvolta sapeva diventare. Allora pronunciava cattiverie feroci, inudibili.

In quelle occasioni Patty si chiedeva quale fosse la sua vera natura, se davvero provava quei sentimenti ostili ed ignobili. Anche con la direzione lavori era assolutamente testardo: dava vita a duelli esilaranti sul fatto se si dovesse o meno abbattere la parete di un forno antico per ricavare un po’ di spazio in più, o mettere dei sassi di fiume piuttosto che una gettata di cemento in esterno. Allora iniziava tutto un gioco di telefonate subdole fra Patty e l’architetto, l’architetto e Modou, Modou e l’impresa. Ognuno cercava di fare secondo la sua idea, ma un confronto aperto fra tutti non si aveva mai. Vinceva chi meglio riusciva ad aggirare l’ostacolo e convincere gli altri. Gli operai per fortuna si divertivano, procedevano tra la simpatia che provavano per Modou, il rispetto per l’architetta Marilena Madalozzi, la fiducia in Patrizia. Alla fine di solito vinceva Modou. Era talmente convinto che opporsi era impossibile. Ed il colmo era che girava per la Cascina a cercare buchini non chiusi e imperfezioni, lagnandosi come un bambino.

I lavori erano iniziati come da programma a settembre, grazie ai solerti bonifici di Patty, e al massacrante lavoro di pulizia cantiere a cui si erano sottoposti gli africani della Organizzazione durante l’estate. Sembravano procedere spediti, anche se non era facile lavorare a risparmio, cercando di evitare qualsiasi spesa inutile.

Inoltre l’inverno si avvicinava e a Patty venne in mente che era meglio preoccuparsi dell’impianto di riscaldamento, dato che da un po’ di africani, in qualità di “guardiani”, ormai risiedevano stabilmente in Cascina, e collaboravano lateralmente a piccoli lavori utili alla impresa complessiva. Soprattutto spostavano pesi, mobili, rifiuti che si erano accumulati in quella vecchia Cascina nei decenni. Quindi fu ordinata la caldaia, e nel frattempo fu presentata al Comune di Milano una richiesta contributo di diecimila euro per l’efficientamento energetico della cascina comunale. Mai impresa fu più in salita come quella della caldaia! La pratica contributo fu presentata nel settembre 2017, tra mille carte e pratiche e telefonate e visite agli uffici comunali, il contributo sarebbe arrivato sul conto corrente dell’Organizzazione solo nell’aprile 2019, dopo 20 mesi di solleciti, rigetti della pratica, integrazioni, accertamenti, bestemmie.

La caldaia fu fisicamente ordinata nell’autunno del 2017, quando la pratica sembrava essere ormai chiara, ma per qualche ragione misteriosa che conosceva solo l’idraulico, nonostante le periodiche rassicurazioni, arrivò solo nel gennaio 2018. Nel frattempo, gli intrepidi volontari africani erano sopravvissuti vivendolo nel cantiere a zero gradi, arrangiandosi con qualche piumino e stufetta, senza lamentarsi. Il capo cantiere bergamasco regolarmente provvedeva ad accendere il camino, con i rifiuti che trovava in Cascina, e così l’allegra compagnia condivideva il procedere dei lavori. Regolarmente all’ora di pranzo Modou provvedeva a sistemare nel mezzo di un tavolaccio un cartoccio con qualcosa di commestibile, il più delle volte un pollo arrostito dal mitico pollivendolo Giannasi di corso Lodi. Dappertutto viaggiavano bottiglie aperte di acqua e coca-cola. L’insieme era davvero disordinato visto la convivenza dei lavori con la quotidiana sopravvivenza dei guardiani. Certo nessun cantiere fu mai sorvegliato bene come quello. Nonostante la Cascina si trovasse in una delle zone più malfamate di Milano, ai potenziali ladri e balordi veniva dato filo da torcere.

La parte più divertente però era ancora da venire: l’imbiancatura del casolare. Per essa si era deciso di fare da sé: quale miglior occasione di risparmio, che sulle pitture? Inoltre si sarebbe colta l’offerta di aiuto di un’altra associazione, che aveva promesso di procurare la sponsorizzazione tecnica di un noto marchio di vernici, la Caparol. Quando mai la proposta fu fatta! Patty iniziò uno stretto placcaggio dell’associazione propostasi, per cercare di avere i materiali promessi. Questa si rivelò un’operazione estenuante, poiché la persona probabilmente si era già pentita, ma non osava tirarsi indietro, e quindi procrastinava la soluzione del problema. Quando già sembrava che le vernici fossero in arrivo, invece l’azienda nemmeno era stata contattata. Alla fine Patty decise di muoversi in prima persona: contattò direttamente l’azienda e prese accordi precisi, per cui lei di persona si recò alla periferia di Milano per caricare parte del malloppo e dare inizio alle prime verniciature. Portò in cascina quei barattoli preziosi come se contenessero oro, si accertò di quanti fossero, dove venivano riposti. Erano diventati la sua ossessione. Le erano costati in fondo solo un po’ di telefonate e di pressioni e un avventuroso viaggio all’enorme magazzino di pittura tedesca, dove per fortuna le maestranze erano precise ed organizzate, con muletti possenti e ruoli inequivocabili. Patty non sapeva ancora che quelle vernici le sarebbero costate dei denari sonanti, perché alla fine la sponsorizzazione si rivelò un semplice sconto. Comunque, la fatica con cui ottenne quei prodotti la rese più attenta nei loro confronti: cominciò ad appassionarsi ai nomi delle tinte, alle diverse sfumature ottenibili, alle diverse prestazioni. Pittura da interno, pittura da esterno, ai quarzi piuttosto che lavabile; smalto per legno e ferro; diluenti vari. Dal momento in cui aveva eseguito l’ordinativo, scegliendo la sfumatura di grigi e di rossi assieme all’architetto, Patty si trasformò in una fanatica imbianchina.

L’organizzazione dei lavori di pittura era autogestita, e così si formò un gruppo mutevole e variegato di volontari che si davano il turno nello scrostare, preparare, diluire e dipingere. Arrivavano in Cascina e si infilavano le tutine bianche da imbianchino, cercando invano di proteggere i vestiti. Patty in particolare dimenticava sempre i capelli scoperti, e si ritrovava immancabilmente con riccioli bianchi o rossi. Una stanza intera era stata adibita a deposito materiale, e li giacevano in ordine sparso una cinquantina di tolle di pittura, che sfortunatamente erano state tutte mischiate, e quindi era ora difficile distinguere un prodotto dall’altro. Per terra c’erano barattoli semi vuoti, stracci e pezzi di plastica, pennelli secchi, macchie di colore. Modou evitava accuratamente di coinvolgersi nella pittura, però passava regolarmente al Brico dove spendeva lo spendibile in nastri, scotch, pennelli, rulli, diluenti. Sembrava che i lavori di pittura non dovessero finire mai, durarono circa tre mesi, perché i turni di lavoro erano davvero saltuari e casuali. I weekend erano i momenti più gettonati. Patty era abbastanza costante nel suo impegno: arrivava, indossava due maglioni e un paio di pantaloni (era dicembre, senza caldaia!). Infilava la tutina tutta macchiata, le scarpe da lavoro, iniziava a tirare il colore, con metodicità quasi zen. Scoprì che quell’impegno era estremamente rilassante e comprese perché tante persone amano dipingere la propria casa, non solo per risparmio. E nel frattempo assaporava pure il piacere di recarsi ad Ikea, più volte, a procurare quei pochi pezzi necessari all’arredamento che non erano raccattati tramite donazioni.

La Cascina si estendeva per mille metri quadri su due piani: ogni volta che si finiva una stanza, ne saltava fuori un’altra da cominciare. Il lavoro più impegnativo erano le imposte di legno e le porte, che andavano tutte pulite e smerigliate prima di poter essere affrontate con lo smalto rosso Barolo. Il freddo era pungente, anche se sopportabile grazie all’intenso movimento delle braccia su e giù. Ma quanta soddisfazione nel vedere quella Cascina ma mano trasformarsi nella casetta di cappuccetto Rosso. Durante quell’attività ci fu anche modo di scambiare un po’ di parole con quegli africani così schivi, e di sentirsi accomunati in una stessa impresa. Ma fu una sensazione passeggera, perché, finiti i lavori, tornava ciascuno alla sua posizione e alla sua storia.

Intercultura - Capitolo 14 L'economia della ristrutturazione

2017

Evidentemente i budget funzionavano solo nel computer di Patty, e si faceva fatica ad ottenere informazioni esatte. Esse venivano estorte da Patty con una pazienza infinita, qualche volta con musi e con litigi. Sembrava di voler rubare un segreto di stato. A fatica si arrivò a primavera del 2017, Patty faceva conto che le spese di quel periodo sarebbero state coperte dalla Fondazione, ed era quindi abbastanza tranquilla. Ma il vero problema di queste piccole organizzazioni non profit, oltre alle incertezze dei contributi, che possono essere vinti o persi un po' come a una lotteria, sono le tempistiche: gli enti finanziatori si riservano tempi biblici per valutare, considerare, dare risposte, rendicontare, liquidare… Da quando in Italia il non profit è diventato un mestiere, queste Fondazioni devono occuparsi di una infinità di microprogetti, quindi impegnare molte persone, in esacerbanti pratiche burocratiche. Impossibile in Italia sostenere le organizzazioni qualificate e meritevoli con contributi deliberati preventivamente con periodicità regolare, invece si è sviluppato il mondo dei bandi: se la sorte è propizia, il contributo è deciso a progetto avviato, e quindi si opera al buio delle condizioni economiche. Si rischia, si spera, si viaggia per approssimazione. Nella circostanza fortunata di un sì, nella esecuzione e rendicontazione trascorre più di un anno, e poi oltre sei mesi per vedere accreditato il contributo sul conto. Questo sistema affossa molte organizzazioni che non hanno le spalle coperte finanziariamente e non sono avvedute e competenti nella gestione. E molto prudenti. Se Modou fosse stato prudente, non si sarebbe mai trovato ora, a Milano, a capo di una attività importante. Sarebbe probabilmente ancora al suo villaggio. Ma questo alle Fondazioni non può interessare. Hanno i loro meccanismi interni. Patty era stata la prima associazione ad essere sostenuta come non profit culturale a Milano, aveva quindi avuto modo di osservare i meccanismi da vicino. Negli ultimi 15 anni, aveva avuto difficoltà a sviluppare con gli enti un rapporto bilaterale: troppe organizzazioni in lista a chiedere contributi, poco tempo dei funzionari per visitare la sede ed entrare nel merito concreto dei progetti. I progetti dovevano essere valutati sulla carta, ed avevano funzionato o meno in base alla chiarezza espositiva di cui Patty aveva goduto in una giornata piuttosto che in un’altra.

Se Patty non avesse vissuto sulla sua pelle le difficoltà determinate da queste procedere, non avrebbe compreso l’incubo in cui operava Modou. Questi meccanismi “non profit” non erano assolutamente adatti ad una mentalità africana. Era come pretendere che degli africani nullatenenti, che vivono necessariamente alla giornata, pianificassero i movimenti finanziari con un anticipo di un anno e mezzo! Anche se i bandi parlano di intercultura, questa è una considerazione che nessuno ha mai fatto.

Così Modou continuava a navigare a vista, da anni ormai con lo stesso sistema. Era impossibile correggere la mentalità di quei contabili cresciuti in Senegal, era impossibile convincere le Fondazioni che ci voleva un altro atteggiamento. Così anche il 2017 era iniziato tra un urlo di Patty a Modou e ai suoi collaboratori e una telefonata implorante alla Fondazione. A primavera del 2017 Patty capitolò ed effettuò un bonifico per dare ossigeno alla Organizzazione. Nel frattempo si era arrivati ad ottenere i permessi, i lavori di ristrutturazione potevano iniziare!

Qui Patty fu responsabile di una decisione positiva e scellerata al tempo stesso: presentò le imprese che già conosceva, con cui regolarmente collaborava. Esse presentarono preventivi migliori e con più garanzie, quindi furono affidati a loro i lavori. Se da una parte si aveva la sicurezza di avere le migliori maestranze, oneste e di fiducia, che infatti ottemperarono più che egregiamente ai loro impegni, la scelta mise Patty nella condizione di sentirsi sempre responsabile degli impegni economici nei loro confronti. Un salasso. 

Da qui in poi, Patty cedette a una serie di bonifici anticipatori che non avrebbe dovuto mai fare, perché non avrebbe dovuto fidarsi delle competenze gestionali dell’Organizzazione né della solerzia delle Fondazioni.

Quello che però successe, fu che Patty, come la volta precedente, si ritrovò entusiasta di occuparsi dei lavori. Forse avrebbe dovuto davvero proseguire la carriera di architetto, e non cambiare studi, all’epoca. Modou aveva terrore nel mettere Patty in contatto con la direzione lavori, pensava che avrebbe finito per aggredire le architette. Invece Patty, che andava sempre d’accordo con le persone di buon senso e di seri principi, costruì con loro un ottimo rapporto, tanto che spesso Modou si sentiva accerchiato ed allora sbottava, si trasformava in quella persona brutale che talvolta sapeva diventare. Allora pronunciava cattiverie feroci, inudibili.

In quelle occasioni Patty si chiedeva quale fosse la sua vera natura, se davvero provava quei sentimenti ostili ed ignobili. Anche con la direzione lavori era assolutamente testardo: dava vita a duelli esilaranti sul fatto se si dovesse o meno abbattere la parete di un forno antico per ricavare un po’ di spazio in più, o mettere dei sassi di fiume piuttosto che una gettata di cemento in esterno. Allora iniziava tutto un gioco di telefonate subdole fra Patty e l’architetto, l’architetto e Modou, Modou e l’impresa. Ognuno cercava di fare secondo la sua idea, ma un confronto aperto fra tutti non si aveva mai. Vinceva chi meglio riusciva ad aggirare l’ostacolo e convincere gli altri. Gli operai per fortuna si divertivano, procedevano tra la simpatia che provavano per Modou, il rispetto per l’architetta Marilena Madalozzi, la fiducia in Patrizia. Alla fine di solito vinceva Modou. Era talmente convinto che opporsi era impossibile. Ed il colmo era che girava per la Cascina a cercare buchini non chiusi e imperfezioni, lagnandosi come un bambino.

I lavori erano iniziati come da programma a settembre, grazie ai solerti bonifici di Patty, e al massacrante lavoro di pulizia cantiere a cui si erano sottoposti gli africani della Organizzazione durante l’estate. Sembravano procedere spediti, anche se non era facile lavorare a risparmio, cercando di evitare qualsiasi spesa inutile.

Inoltre l’inverno si avvicinava e a Patty venne in mente che era meglio preoccuparsi dell’impianto di riscaldamento, dato che da un po’ di africani, in qualità di “guardiani”, ormai risiedevano stabilmente in Cascina, e collaboravano lateralmente a piccoli lavori utili alla impresa complessiva. Soprattutto spostavano pesi, mobili, rifiuti che si erano accumulati in quella vecchia Cascina nei decenni. Quindi fu ordinata la caldaia, e nel frattempo fu presentata al Comune di Milano una richiesta contributo di diecimila euro per l’efficientamento energetico della cascina comunale. Mai impresa fu più in salita come quella della caldaia! La pratica contributo fu presentata nel settembre 2017, tra mille carte e pratiche e telefonate e visite agli uffici comunali, il contributo sarebbe arrivato sul conto corrente dell’Organizzazione solo nell’aprile 2019, dopo 20 mesi di solleciti, rigetti della pratica, integrazioni, accertamenti, bestemmie.

La caldaia fu fisicamente ordinata nell’autunno del 2017, quando la pratica sembrava essere ormai chiara, ma per qualche ragione misteriosa che conosceva solo l’idraulico, nonostante le periodiche rassicurazioni, arrivò solo nel gennaio 2018. Nel frattempo, gli intrepidi volontari africani erano sopravvissuti vivendolo nel cantiere a zero gradi, arrangiandosi con qualche piumino e stufetta, senza lamentarsi. Il capo cantiere bergamasco regolarmente provvedeva ad accendere il camino, con i rifiuti che trovava in Cascina, e così l’allegra compagnia condivideva il procedere dei lavori. Regolarmente all’ora di pranzo Modou provvedeva a sistemare nel mezzo di un tavolaccio un cartoccio con qualcosa di commestibile, il più delle volte un pollo arrostito dal mitico pollivendolo Giannasi di corso Lodi. Dappertutto viaggiavano bottiglie aperte di acqua e coca-cola. L’insieme era davvero disordinato visto la convivenza dei lavori con la quotidiana sopravvivenza dei guardiani. Certo nessun cantiere fu mai sorvegliato bene come quello. Nonostante la Cascina si trovasse in una delle zone più malfamate di Milano, ai potenziali ladri e balordi veniva dato filo da torcere.

La parte più divertente però era ancora da venire: l’imbiancatura del casolare. Per essa si era deciso di fare da sé: quale miglior occasione di risparmio, che sulle pitture? Inoltre si sarebbe colta l’offerta di aiuto di un’altra associazione, che aveva promesso di procurare la sponsorizzazione tecnica di un noto marchio di vernici, la Caparol. Quando mai la proposta fu fatta! Patty iniziò uno stretto placcaggio dell’associazione propostasi, per cercare di avere i materiali promessi. Questa si rivelò un’operazione estenuante, poiché la persona probabilmente si era già pentita, ma non osava tirarsi indietro, e quindi procrastinava la soluzione del problema. Quando già sembrava che le vernici fossero in arrivo, invece l’azienda nemmeno era stata contattata. Alla fine Patty decise di muoversi in prima persona: contattò direttamente l’azienda e prese accordi precisi, per cui lei di persona si recò alla periferia di Milano per caricare parte del malloppo e dare inizio alle prime verniciature. Portò in cascina quei barattoli preziosi come se contenessero oro, si accertò di quanti fossero, dove venivano riposti. Erano diventati la sua ossessione. Le erano costati in fondo solo un po’ di telefonate e di pressioni e un avventuroso viaggio all’enorme magazzino di pittura tedesca, dove per fortuna le maestranze erano precise ed organizzate, con muletti possenti e ruoli inequivocabili. Patty non sapeva ancora che quelle vernici le sarebbero costate dei denari sonanti, perché alla fine la sponsorizzazione si rivelò un semplice sconto. Comunque, la fatica con cui ottenne quei prodotti la rese più attenta nei loro confronti: cominciò ad appassionarsi ai nomi delle tinte, alle diverse sfumature ottenibili, alle diverse prestazioni. Pittura da interno, pittura da esterno, ai quarzi piuttosto che lavabile; smalto per legno e ferro; diluenti vari. Dal momento in cui aveva eseguito l’ordinativo, scegliendo la sfumatura di grigi e di rossi assieme all’architetto, Patty si trasformò in una fanatica imbianchina.

L’organizzazione dei lavori di pittura era autogestita, e così si formò un gruppo mutevole e variegato di volontari che si davano il turno nello scrostare, preparare, diluire e dipingere. Arrivavano in Cascina e si infilavano le tutine bianche da imbianchino, cercando invano di proteggere i vestiti. Patty in particolare dimenticava sempre i capelli scoperti, e si ritrovava immancabilmente con riccioli bianchi o rossi. Una stanza intera era stata adibita a deposito materiale, e li giacevano in ordine sparso una cinquantina di tolle di pittura, che sfortunatamente erano state tutte mischiate, e quindi era ora difficile distinguere un prodotto dall’altro. Per terra c’erano barattoli semi vuoti, stracci e pezzi di plastica, pennelli secchi, macchie di colore. Modou evitava accuratamente di coinvolgersi nella pittura, però passava regolarmente al Brico dove spendeva lo spendibile in nastri, scotch, pennelli, rulli, diluenti. Sembrava che i lavori di pittura non dovessero finire mai, durarono circa tre mesi, perché i turni di lavoro erano davvero saltuari e casuali. I weekend erano i momenti più gettonati. Patty era abbastanza costante nel suo impegno: arrivava, indossava due maglioni e un paio di pantaloni (era dicembre, senza caldaia!). Infilava la tutina tutta macchiata, le scarpe da lavoro, iniziava a tirare il colore, con metodicità quasi zen. Scoprì che quell’impegno era estremamente rilassante e comprese perché tante persone amano dipingere la propria casa, non solo per risparmio. E nel frattempo assaporava pure il piacere di recarsi ad Ikea, più volte, a procurare quei pochi pezzi necessari all’arredamento che non erano raccattati tramite donazioni.

La Cascina si estendeva per mille metri quadri su due piani: ogni volta che si finiva una stanza, ne saltava fuori un’altra da cominciare. Il lavoro più impegnativo erano le imposte di legno e le porte, che andavano tutte pulite e smerigliate prima di poter essere affrontate con lo smalto rosso Barolo. Il freddo era pungente, anche se sopportabile grazie all’intenso movimento delle braccia su e giù. Ma quanta soddisfazione nel vedere quella Cascina ma mano trasformarsi nella casetta di cappuccetto Rosso. Durante quell’attività ci fu anche modo di scambiare un po’ di parole con quegli africani così schivi, e di sentirsi accomunati in una stessa impresa. Ma fu una sensazione passeggera, perché, finiti i lavori, tornava ciascuno alla sua posizione e alla sua storia.

Cico di Costruzioni M.F. all'opera nel cantiere della Cascina appena avviato

I lavori di ristrutturazione
-

I buchini rilevati da Modou

I dettagli che Modou analizzava

I lavori di ristrutturazione
-
I lavori di ristrutturazione
-

Modou da Ikea