Gabi Scardi

 

“L’interesse e la vitalità di un archivio del contemporaneo risiedono nella sua capacità di rimandare a ciò che avviene fuori, di esprimere, in modo sintetico e sistematico, il dinamismo e l’indirimibile stratificazione dell’ambito di riferimento a cui l’archivio si riferisce.
Gestire un archivio come quello di Careof-Viafarini, un archivio che funziona grazie all’apporto individuale di artisti per lo più giovani, che si presentano spontaneamente, spesso ripetutamente a distanza di brevi lassi di tempo, significa avere una presa diretta, un monitoraggio stringente sull’arte nel momento del suo farsi. Significa trovarsi con tempestività a essere depositari di una quantità di informazioni che consento- no di seguire gli artisti nei loro percorsi, anche in quelli meno ordinari, e di muoversi con disinvoltura laddove l’arte si presenta nel suo farsi. Si tratta di un grande privilegio.

Tra i percorsi straordinari che l’archivio mi ha dato modo di seguire ci sono stati quelli di artisti che lavorano fuori dagli spazi deputati; in questo senso l’archivio si può rivelare particolarmente prezioso. Perché se ciò che avviene nelle istituzioni e nelle gallerie è oggetto di una comunicazione piuttosto efficace e sistematica, questo non vale per i progetti sul territorio, spesso dovuti all’iniziativa di singoli artisti, volutamente mimetici rispetto al contesto, legati a situazioni fluide e dinamiche, raramente replicabili; non per questo marginali, anzi: gli artisti che lavorano sul territorio cercano comunque riscontro, interlocutori e centralità anche all’interno del mondo dell’arte.
Molti progetti nati per lo spazio pubblico sono confluiti nell’Archivio Careof-Viafarini, e d’altra parte da progetti che hanno preso avvio in spazi non deputati sono nate diverse mostre che hanno avuto luogo in Viafarini.
Cito tra tutte Balena Project, di Claudia Losi, che in Viafarini ha avuto il momento d’esordio. A essere esposta è stata, in quel caso, una balena in tessuto realizzata nelle dimensioni reali: 23 metri di lunghezza. La balena era destinata a fare il giro del mondo fungendo, a ogni tappa della sua avventurosa storia, da pretesto per radunare persone, per tessere relazioni, per raccogliere storie. In occasione di quella sua prima uscita la balena – o meglio, la sua pelle – accolse la performance Animazione: una serie di danzatori la animavano dall’interno mimando lo scheletro e i movimenti del grande animale.

Altro progetto transitato da Viafarini per un momento di visibilità è stato Maybe Sarajevo, di Gea Casolaro: una sequenza di sessanta fotografie, scorci metropolitani che avrebbero potuto rappresentare sessanta diverse città del mondo. Erano state invece scattate a Sarajevo, dove Gea Casolaro si trovava nell’ottobre del 1998, proprio sul finire del conflitto che aveva devastato la città e che ave- va insanguinato la Bosnia-Erzegovina a partire dal 1992. L’opera costituiva un modo per sottrarre alla standardizzazione e all’univocità dei media l’immagine di una città che l’artista aveva personalmente conosciuto.

Un progetto ancora che abbiamo visto entrare in archivio in una fase germina- le, per poi svilupparsi in direzioni diverse, è stato quello realizzato da Stefano Boccalini e legato alla cartografia: cartografia intesa come proiezione capace di dare forma sensibile a riflessioni tra le più attuali: Boccalini ha realizzato, in diverse versioni e in diversi momenti, cinque vasche colorate le cui sagome rappresentano i cinque continenti. In una delle prime versioni all’interno delle vasche, su uno strato di terra fertile ha piantato, non senza ironia, cinque diversi tipi di funghi che crescono uniti in famigliole. Già qui il lavoro tematizzava il desiderio di un diverso, più umano e sostenibile assetto del mondo. L’opera subirà successivi sviluppi e metamorfosi fino a che, con Random Map, versione permanente realizzata a Yerevan, Armenia, le vasche si trasformeranno in veri e propri parchi giochi per bambini.

Sono numerosi gli artisti che nel tempo, lavorando dentro ma anche al di fuori degli spazi per l’arte, hanno trovato nell’archivio un punto di riferimento: da Cesare Pietroiusti a Luca Vitone, al Gruppo A12, a Francesca Grilli e molti altri. In Italia, dove la scena artistica appare slabbrata perché sono poche le istituzioni che fungano da catalizzatori di energie e di comunicazione per gli artisti, l’archivio sopperisce a questo ruolo, fungendo da importante cinghia di trasmissione anche per quanto riguarda pratiche artistiche meno convenzionali e più soggette alla dispersione.”

Gabi Scardi per Souvenir d'Italie - a nonprofit Art Story, 2010

Patrizia Brusarosco, Jimmie Durham e Gabi Scardi, 2019

Gabi Scardi


 

“L’interesse e la vitalità di un archivio del contemporaneo risiedono nella sua capacità di rimandare a ciò che avviene fuori, di esprimere, in modo sintetico e sistematico, il dinamismo e l’indirimibile stratificazione dell’ambito di riferimento a cui l’archivio si riferisce.
Gestire un archivio come quello di Careof-Viafarini, un archivio che funziona grazie all’apporto individuale di artisti per lo più giovani, che si presentano spontaneamente, spesso ripetutamente a distanza di brevi lassi di tempo, significa avere una presa diretta, un monitoraggio stringente sull’arte nel momento del suo farsi. Significa trovarsi con tempestività a essere depositari di una quantità di informazioni che consento- no di seguire gli artisti nei loro percorsi, anche in quelli meno ordinari, e di muoversi con disinvoltura laddove l’arte si presenta nel suo farsi. Si tratta di un grande privilegio.

Tra i percorsi straordinari che l’archivio mi ha dato modo di seguire ci sono stati quelli di artisti che lavorano fuori dagli spazi deputati; in questo senso l’archivio si può rivelare particolarmente prezioso. Perché se ciò che avviene nelle istituzioni e nelle gallerie è oggetto di una comunicazione piuttosto efficace e sistematica, questo non vale per i progetti sul territorio, spesso dovuti all’iniziativa di singoli artisti, volutamente mimetici rispetto al contesto, legati a situazioni fluide e dinamiche, raramente replicabili; non per questo marginali, anzi: gli artisti che lavorano sul territorio cercano comunque riscontro, interlocutori e centralità anche all’interno del mondo dell’arte.
Molti progetti nati per lo spazio pubblico sono confluiti nell’Archivio Careof-Viafarini, e d’altra parte da progetti che hanno preso avvio in spazi non deputati sono nate diverse mostre che hanno avuto luogo in Viafarini.
Cito tra tutte Balena Project, di Claudia Losi, che in Viafarini ha avuto il momento d’esordio. A essere esposta è stata, in quel caso, una balena in tessuto realizzata nelle dimensioni reali: 23 metri di lunghezza. La balena era destinata a fare il giro del mondo fungendo, a ogni tappa della sua avventurosa storia, da pretesto per radunare persone, per tessere relazioni, per raccogliere storie. In occasione di quella sua prima uscita la balena – o meglio, la sua pelle – accolse la performance Animazione: una serie di danzatori la animavano dall’interno mimando lo scheletro e i movimenti del grande animale.

Altro progetto transitato da Viafarini per un momento di visibilità è stato Maybe Sarajevo, di Gea Casolaro: una sequenza di sessanta fotografie, scorci metropolitani che avrebbero potuto rappresentare sessanta diverse città del mondo. Erano state invece scattate a Sarajevo, dove Gea Casolaro si trovava nell’ottobre del 1998, proprio sul finire del conflitto che aveva devastato la città e che ave- va insanguinato la Bosnia-Erzegovina a partire dal 1992. L’opera costituiva un modo per sottrarre alla standardizzazione e all’univocità dei media l’immagine di una città che l’artista aveva personalmente conosciuto.

Un progetto ancora che abbiamo visto entrare in archivio in una fase germina- le, per poi svilupparsi in direzioni diverse, è stato quello realizzato da Stefano Boccalini e legato alla cartografia: cartografia intesa come proiezione capace di dare forma sensibile a riflessioni tra le più attuali: Boccalini ha realizzato, in diverse versioni e in diversi momenti, cinque vasche colorate le cui sagome rappresentano i cinque continenti. In una delle prime versioni all’interno delle vasche, su uno strato di terra fertile ha piantato, non senza ironia, cinque diversi tipi di funghi che crescono uniti in famigliole. Già qui il lavoro tematizzava il desiderio di un diverso, più umano e sostenibile assetto del mondo. L’opera subirà successivi sviluppi e metamorfosi fino a che, con Random Map, versione permanente realizzata a Yerevan, Armenia, le vasche si trasformeranno in veri e propri parchi giochi per bambini.

Sono numerosi gli artisti che nel tempo, lavorando dentro ma anche al di fuori degli spazi per l’arte, hanno trovato nell’archivio un punto di riferimento: da Cesare Pietroiusti a Luca Vitone, al Gruppo A12, a Francesca Grilli e molti altri. In Italia, dove la scena artistica appare slabbrata perché sono poche le istituzioni che fungano da catalizzatori di energie e di comunicazione per gli artisti, l’archivio sopperisce a questo ruolo, fungendo da importante cinghia di trasmissione anche per quanto riguarda pratiche artistiche meno convenzionali e più soggette alla dispersione.”

Gabi Scardi per Souvenir d'Italie - a nonprofit Art Story, 2010