Alberto Garutti

"Ricordo quando Alberto volle accompagnarmi in Toscana a visitare il suo lavoro a Peccioli. Era il 1994, e quell’opera sarebbe diventata per lui seminale. Non so perché lo fece, ancora oggi mi chiedo perché negli anni Alberto abbia sempre dimostrato affetto e stima nei miei confronti, con i suoi modi da signore, sempre a calibrata distanza, e nello stesso tempo intimo nei pensieri. Alberto è stato una di coloro che mi hanno infuso fiducia in me stessa, permettendomi di crescere attraverso esperienze sempre stimolanti. Quella volta ci demmo appuntamento in piazzale Baracca, ricordo ancora, viaggiammo fino a Peccioli, io ero timida allora, e lo sono sempre stata, considerandomi sempre un po’ troppo ignorante. Quindi mi ritenevo privilegiata a visitare l’installazione con la guida di Alberto, come sempre poi gli fui grata quando mi illustrò i suoi progetti successivi. Alberto è così, è una persona aperta al racconto, gli piace farsi ascoltare, e sa trasmettere. Sornione, oratore infaticabile, affabulatore, seduttore, uomo misterioso, Alberto pratica il motto che è anche oggetto di una sua opera: “Tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui, ora”. I suoi passi successivi lo portarono al forte omaggio ai nuovi nati a Istanbul e altrove, agli inni ai cieli e alle forze della natura, al raccordo con i sistemi umani delle città a Piazza Aulenti. Fino alla relazione con gli abitanti di Trigerio tramite la scultura dei loro cani su di una panchina. Dove gli abitanti avrebbero dovuto dialogare. Quando io mi ci sedetti, come al solito accompagnata solo dal mio cane, Zampa trovò il modo di relazionarsi con il cane in cemento! Era un dialogo anche questo, documentato dall’amico Giovanni Sabatini.

Quello che con Alberto abbiamo avviato a Viafarini è stato un esperimento Intergenerazionale. Già altri artisti avevano riunito intorno se a Milano le giovani generazioni, e penso a Luciano Fabbro, a Corrado Levi. Con Alberto si passò alla generazione successiva, merito anche della rete che aveva costruito a Bologna assieme a Roberto Daolio, e che si trasferiva Milano, all’Accademia di Brera, dove operava anche Giacinto Di Pietrantonio. Erano sicuramente artisti diversi da coloro che 10 anni prima avevano dato vita allo spazio di Lazzaro Palazzi. Ricordo con particolare affetto Stefania Galegati, con la quale raccogliemmo  la documentazione dei progetti We are Moving e poi Transatlantico, e che ancora oggi è impegnata in progetti collettivi. Stefania ha aperto Caffè’ Internazionale a Palermo, locale artistico e musicale. Ricordo Marco Boggio Sella, che da anni vive a New York in una condizione tra l’artista e l’immobiliarista. Ad un certo punto mi aveva proposto di acquisire un immobile nella grande mela! Tutte occasioni mancate. Vorrei sapere che fine ha fatto Gino Lucente, per esempio. Sara Ciraci’ per un po’ di anni ha vissuto nella strada di via Farini. Giuseppe Gabellone probabilmente vive ancora in Francia. Diego Perrone era un ragazzo d’oro, con cui allestimmo anche una mostra personale. Mi piacerebbe rincontrarlo. Ma il più fuori era Patrick Tuttofuoco, artista visionario che credo operi a Berlino. Questa ormai è una generazione di ultra quarantenni. Ancora diversi dai più giovani che ora si muovono all’Accademia. Con Alberto 10 anni dopo organizzammo il progetto Arrivederci e Grazie, con gli artisti Meris Angioletti, Giona Bernardi, Patrizio Di Massimo, Cleo Fariselli, Emre Hüner, Stefano Mai, Alice Mandelli, Jonatah Manno, Miriam Mosetti, Andrea Paleri, Andrea Rossi, Matteo Rubbi, Shigeri Takahashi, Alice Tomaselli, Fabrizio Tropeano e i curatori Alberto Garutti, Stefano Bernuzzi, Valentina Costa, Laura Garbarino, Francesco Pavesi, Veronica Pirola, Alessandra Poggianti, Marta Savaris, Elvira Vannini, che a parte Alberto, non avevano ancora 30 anni.

Costoro, cosa apportavano di nuovo? Cosa stanno facendo ora? Se non fossero domande imbecilli, mi piacerebbe porle ad Alberto. Forse basterebbe cercare un po’ di loro online, quasi quasi mi ci metto. E intanto penso che trovo poco di Alberto sulla sua esperienza nell'insegnamento. L'arte e l'Insegnante, Alberto dichiara di aver fatto un lavoro difficile ma interessante, un lavoro sull'educazione sentimentale, sull'educazione all'emotività, punto cruciale nel rapporto con gli studenti. Mi piacerebbe sentirlo parlare di questo".

Patrizia Brusarosco

Alberto Garutti


"Ricordo quando Alberto volle accompagnarmi in Toscana a visitare il suo lavoro a Peccioli. Era il 1994, e quell’opera sarebbe diventata per lui seminale. Non so perché lo fece, ancora oggi mi chiedo perché negli anni Alberto abbia sempre dimostrato affetto e stima nei miei confronti, con i suoi modi da signore, sempre a calibrata distanza, e nello stesso tempo intimo nei pensieri. Alberto è stato una di coloro che mi hanno infuso fiducia in me stessa, permettendomi di crescere attraverso esperienze sempre stimolanti. Quella volta ci demmo appuntamento in piazzale Baracca, ricordo ancora, viaggiammo fino a Peccioli, io ero timida allora, e lo sono sempre stata, considerandomi sempre un po’ troppo ignorante. Quindi mi ritenevo privilegiata a visitare l’installazione con la guida di Alberto, come sempre poi gli fui grata quando mi illustrò i suoi progetti successivi. Alberto è così, è una persona aperta al racconto, gli piace farsi ascoltare, e sa trasmettere. Sornione, oratore infaticabile, affabulatore, seduttore, uomo misterioso, Alberto pratica il motto che è anche oggetto di una sua opera: “Tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui, ora”. I suoi passi successivi lo portarono al forte omaggio ai nuovi nati a Istanbul e altrove, agli inni ai cieli e alle forze della natura, al raccordo con i sistemi umani delle città a Piazza Aulenti. Fino alla relazione con gli abitanti di Trigerio tramite la scultura dei loro cani su di una panchina. Dove gli abitanti avrebbero dovuto dialogare. Quando io mi ci sedetti, come al solito accompagnata solo dal mio cane, Zampa trovò il modo di relazionarsi con il cane in cemento! Era un dialogo anche questo, documentato dall’amico Giovanni Sabatini.

Quello che con Alberto abbiamo avviato a Viafarini è stato un esperimento Intergenerazionale. Già altri artisti avevano riunito intorno se a Milano le giovani generazioni, e penso a Luciano Fabbro, a Corrado Levi. Con Alberto si passò alla generazione successiva, merito anche della rete che aveva costruito a Bologna assieme a Roberto Daolio, e che si trasferiva Milano, all’Accademia di Brera, dove operava anche Giacinto Di Pietrantonio. Erano sicuramente artisti diversi da coloro che 10 anni prima avevano dato vita allo spazio di Lazzaro Palazzi. Ricordo con particolare affetto Stefania Galegati, con la quale raccogliemmo  la documentazione dei progetti We are Moving e poi Transatlantico, e che ancora oggi è impegnata in progetti collettivi. Stefania ha aperto Caffè’ Internazionale a Palermo, locale artistico e musicale. Ricordo Marco Boggio Sella, che da anni vive a New York in una condizione tra l’artista e l’immobiliarista. Ad un certo punto mi aveva proposto di acquisire un immobile nella grande mela! Tutte occasioni mancate. Vorrei sapere che fine ha fatto Gino Lucente, per esempio. Sara Ciraci’ per un po’ di anni ha vissuto nella strada di via Farini. Giuseppe Gabellone probabilmente vive ancora in Francia. Diego Perrone era un ragazzo d’oro, con cui allestimmo anche una mostra personale. Mi piacerebbe rincontrarlo. Ma il più fuori era Patrick Tuttofuoco, artista visionario che credo operi a Berlino. Questa ormai è una generazione di ultra quarantenni. Ancora diversi dai più giovani che ora si muovono all’Accademia. Con Alberto 10 anni dopo organizzammo il progetto Arrivederci e Grazie, con gli artisti Meris Angioletti, Giona Bernardi, Patrizio Di Massimo, Cleo Fariselli, Emre Hüner, Stefano Mai, Alice Mandelli, Jonatah Manno, Miriam Mosetti, Andrea Paleri, Andrea Rossi, Matteo Rubbi, Shigeri Takahashi, Alice Tomaselli, Fabrizio Tropeano e i curatori Alberto Garutti, Stefano Bernuzzi, Valentina Costa, Laura Garbarino, Francesco Pavesi, Veronica Pirola, Alessandra Poggianti, Marta Savaris, Elvira Vannini, che a parte Alberto, non avevano ancora 30 anni.

Costoro, cosa apportavano di nuovo? Cosa stanno facendo ora? Se non fossero domande imbecilli, mi piacerebbe porle ad Alberto. Forse basterebbe cercare un po’ di loro online, quasi quasi mi ci metto. E intanto penso che trovo poco di Alberto sulla sua esperienza nell'insegnamento. L'arte e l'Insegnante, Alberto dichiara di aver fatto un lavoro difficile ma interessante, un lavoro sull'educazione sentimentale, sull'educazione all'emotività, punto cruciale nel rapporto con gli studenti. Mi piacerebbe sentirlo parlare di questo".

Patrizia Brusarosco